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COME REDIGERE IL PIANO PERSONALIZZATO PREVISTO DALL'ART. 14 DELLA LEGGE 328 DEL 2000

1. CHE COS'E' IL PROGETTO INDIVIDUALE

La legge n. 328/00 ("Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali") prevede che, affinché si ottenga in pieno l'integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare della persona con disabilità, i singoli vari interventi di integrazione/inclusione siano tra loro coordinati, non solo per evitare inefficaci sovrapposizioni, ma soprattutto per indirizzare meglio l'insieme di tali interventi verso un'adeguata risposta alle particolari ed individuali esigenze della persona beneficiaria.
Il principale strumento è quello della predisposizione di progetti individuali per ogni singola "persona con disabilità fisica, psichica e/o sensoriale, stabilizzata o progressiva (art. 3 L. 104/92)", attraverso i quali poter creare percorsi personalizzati per ciascuno in cui i vari interventi siano coordinati in maniera mirata, massimizzando così i benefici effetti degli stessi e riuscendo, diversamente da interventi settoriali e tra loro disgiunti, a rispondere in maniera complessiva ai bisogni ed alle aspirazioni del beneficiario.
Nello specifico, secondo la L. 328/00, il Comune2 deve predisporre, d'intesa con la A.S.L., un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali di cui possa aver bisogno la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione.
Attraverso tale innovativo approccio si guarda alla persona con disabilità non più come ad un semplice utente di singoli servizi, ma come ad una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e le sue potenzialità da alimentare e promuovere.
Occorre, infatti, pensare al progetto individuale non solo come documento che descrive "ciò che può si fare oggi" ma come un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa Comunità territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere.
Tutto ciò disegna un quadro istituzionale, organizzativo e professionale (altro non sono se non i tre profili "minimi" descritti per l'attuazione dell'integrazione socio-sanitaria così come è descritta nell'art 3 septies D.Lgs. 229/'99) che presuppone:
--- CONTINUITA' (nella presa in carico, nei passaggi di informazione tra gli operatori, nel perseguire in modo dinamico e critico gli obiettivi descritti nel progetto individuale)
--- GLOBALITA' (nella definizione delle valutazioni - approccio ecologico)
--- AMPIEZZA E PROFONDITA' (ampiezza della visione di insieme, profondità di analisi e nella messa a punto di modalità concrete che garantiscano il massimo coinvolgimento della persona e della famiglia)

Pertanto, per predisporre un efficace piano individuale dei vari interventi di integrazione/inclusione occorre partire da un'analisi completa di tutte le variabili, oggettive e soggettive, che ruotano attorno alla persona con disabilità:

1) situazione sanitaria personale;
2) situazione economico/culturale/sociale/lavorativa della persona con disabilità in rapporto anche al proprio contesto familiare e sociale;
3) situazione relazionale/affettiva/familiare;
4) disponibilità personale della famiglia, amici, operatori sociali;
5) interessi ed aspirazioni personali;
6) servizi territoriali già utilizzati;
7) servizi territoriali cui poter accedere nell'immediato futuro.

Stante la molteplicità dei succitati fattori, in gran parte non oggettivamente misurabili, e diversamente incidenti sulla situazione complessiva, la realizzazione di un progetto individuale deve essere attuata non attraverso meri adempimenti tecnico-amministrativi, ma con un'impostazione che abbia come stella polare la Persona, in quanto tale.
Di conseguenza, sia nella fase progettuale che attuativa del progetto dovrebbero essere considerate imprescindibili le volontà della persona beneficiaria, della sua famiglia o di chi la rappresenta, maggiormente in grado di definire i suoi bisogni e gli interventi più adeguati al caso concreto.
Questo continuo dialogo tra la Pubblica Amministrazione da una parte e il centro d'interessi beneficiario / famiglia / rappresentante dall'altra è utile anche per "ripensare" il progetto qualora muti il quadro dei fattori sopra citati oppure vari l'incidenza del singolo fattore all'interno del quadro complessivo.

2. LA VALUTAZIONE DEL BISOGNO

La valutazione del bisogno, a nostro avviso, potrebbe utilmente basarsi su quanto descritto all'art. 2 del Decreto Presidente Consiglio Ministri 14.02.2001 (atto di indirizzo e coordinamento per l'integrazione socio-sanitaria), ripreso e quindi parte integrante della normativa vigente in materia di livelli essenziali di assistenza (DPCM 29.11.2001 all. 1 C - integrazione sociosanitaria) che riportiamo di seguito:

Art. 2. Tipologia delle prestazioni

1. L'assistenza socio-sanitaria viene prestata alle persone che presentano bisogni di salute che richiedono prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale, anche di lungo periodo, sulla base di progetti personalizzati redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali. Le regioni disciplinano le modalità ed i criteri di definizione dei progetti assistenziali personalizzati.
2. Le prestazioni socio-sanitarie di cui all'art. 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche e integrazioni sono definite tenendo conto dei seguenti criteri: la natura del bisogno, la complessità e l'intensità dell'intervento assistenziale, nonché la sua durata.
3. Ai fini della determinazione della natura del bisogno si tiene conto degli aspetti inerenti a:
a) funzioni psicofisiche;
b) natura delle attività del soggetto e relative limitazioni;
c) modalità di partecipazione alla vita sociale;
d) fattori di contesto ambientale e familiare che incidono nella risposta al bisogno e nel suo superamento.
4. L'intensità assistenziale è stabilita in base a fasi temporali che caratterizzano il progetto personalizzato, così definite:
a) la fase intensiva, caratterizzata da un impegno riabilitativo specialistico di tipo diagnostico e terapeutico, di elevata complessità e di durata breve e definita, con modalità operative residenziali, semiresidenziali, ambulatoriali e domiciliari;
b) la fase estensiva, caratterizzata da una minore intensità terapeutica, tale comunque da richiedere una presa in carico specifica, a fronte di un programma assistenziale di medio o prolungato periodo definito;
c) la fase di lungoassistenza, finalizzata a mantenere l'autonomia funzionale possibile e a rallentare il suo deterioramento, nonché a favorire la partecipazione alla vita sociale, anche attraverso percorsi educativi.
5. La complessità dell'intervento è determinata con riferimento alla composizione dei fattori produttivi impiegati (professionali e di altra natura), e alla loro articolazione nel progetto personalizzato.
Il provvedimento offre un contributo importante per ampliare e completare il disposto dell'art. 14 della L.328/00.
L'art. 2 fornisce infatti preziose indicazioni su come le tre macro-tipologie di prestazioni sociosanitarie (art. 3 septies D.Lgs 229/1999 "prestazioni sanitarie a rilievo sociale; prestazioni sociali e rilievo sanitario, prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria") possano essere identificate in un processo dinamico che deve portare a capire:
--- la natura del bisogno (utilizzando categorie molto simili e vicine alla struttura dell'ICF)
--- l'intensità assistenziale (fornendo descrizioni delle tre fasi di assistenza - intensiva-estensiva-di lunga durata)
--- la complessità dell'intervento (rapportando la composizione dei fattori produttivi impiegati in relazione al progetto individuale).

3. REDAZIONE DEL PROGETTO INDIVIDUALIZZATO - I "NOSTRI" ELEMENTI ESSENZIALI

3.1. Che cos'è la disabilità

Può apparire ridondante e inutile tornare su questo concetto. Crediamo invece non lo sia per il semplice motivo che condividerne la definizione vuol dire condividere non solo la cornice valoriale e culturale nella quale operare, ma le scelte, le azioni concrete e gli strumenti con cui si intende procedere. Proponiamo quella che riteniamo sia la sola e unica definizione possibile, e cioè quella che, sul piano scientifico (OMS-ICF) e sul piano culturale e giuridico (Convenzione ONU) ha eliminato dal lessico degli operatori il termine "handicap":
- la disabilità è una condizione di vita determinata dal rapporto tra la persona e il suo ambiente
- laddove la condizione di vita è caratterizzata da un determinato funzionamento (condizionato da menomazioni o patologie) e laddove l'ambiente sia sfavorevole a tale funzionamento si genera la disabilità
- la disabilità è pertanto la risultante di una relazione (persona/ambiente sfavorevole) condizionata da trattamenti differenti ingiustificati (discriminazione) e da carenza di pari opportunità
- ne consegue che il progetto individuale va ripensato come il documento programmatico dei diritti umani della persona con disabilità

3.2. Cambiare modello

In altre parole ancora si tratta di assumere come base comune di ragionamento e di azione il passaggio dal modello medico al modello bio-psico-sociale

MODELLO MEDICO MODELLO BIO PSICO SOCIALE
Le persone con disabilità sono malate, invalide Le persone con disabilità sono cittadini con abilità e competenze da valorizzare
Il trattamento delle persone con disabilità è la guarigione possibile, perseguita in luoghi separati e speciali e in contesti prevalentemente medici o assistenziali Le persone con disabilità vivono soprattutto discriminazioni e mancanza di pari opportunità: Il trattamento più efficace è l'inclusione sociale
Le competenze necessarie per i trattamenti a favore delle persone con disabilità sono prevalentemente sanitarie Le competenze "inclusive" sono di tutti i settori della società e coinvolgono risorse umane e culturali, anche non specialistiche, bensì diffuse, informali e comunitarie

 

3.3. Discriminazione e carenze di pari opportunità (redigere la mappa delle discriminazioni e delle carenze di pari opportunità)

Il terreno di confronto su cui operatori, amministratori, familiari, persone con disabilità e Comunità locali devono misurarsi è pertanto quello delle azioni di contrasto alle discriminazioni e alle carenze di pari opportunità. ("La Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF) individua infatti come discriminazione e violazione dei diritti umani delle persone con disabilità ogni ingiustificato impedimento all'accesso ed alla partecipazione in autonomia ai contesti di vita, sia in termini di creazione di barriere, sia in termini di negazione di facilitatori")

Ciò significa che, per trattare il tema della presa in carico secondo la prospettiva del modello bio-psico-sociale, siamo tutti chiamati ad allargare il nostro orizzonte culturale e contemporaneamente ad approfondire il nostro sguardo sulla condizione esistenziale delle persone con disabilità.
Allargare l'orizzonte culturale determina due conseguenze immediate dal punto di vista giuridico e della nostra azione politica e sociale:
dal punto di vista giuridico la presa in carico delle persone con disabilità non consiste più soltanto nel garantire ad esse il diritto a determinate cure, servizi, agevolazioni, provvidenze, interventi più o meno personalizzati, ma diventa a tutti gli effetti una strategia tesa alla tutela dei diritti umani;
ne consegue che dal punto di vista dell'azione di politica sociale il processo di presa in carico non riflette più soltanto il bisogno di "curare", "assistere", "sostenere", "prendersi cura", ma implica un impegno più largo e diffuso che va oltre l'intervento diretto alla persona e richiede un'azione di cura indirizzata alla comunità di cui la persona è parte. Prendersi cura della persona con disabilità significa proprio rovesciare il paradigma: curare il territorio per curare le persone, andando oltre l'erogazione dei servizi alla persona. Significa che prima del contenitore (il servizio, la risposta, l'intervento) si deve porre al centro del sistema la difesa della dignità personale e il suo diritto a rimanere da protagonista, e non da fruitore, nella propria comunità.

Provocatoriamente, in questa prospettiva appare lecito porsi degli interrogativi sulla presa in carico: Chi deve essere preso in carico? La persona con disabilità? La sua famiglia? I suoi vicini di casa? I suoi operatori? I suoi amministratori?

3.4. Individuale e personale non sono sinonimi

Alla luce del nuovo modello bio-psico-sociale di cui si è detto il progetto deve essere "individuale", in quanto riferito ad un solo ed unico soggetto, ma al tempo stesso "personale", in quanto capace di rappresentare il soggetto in relazione con il suo mondo (materiale e immateriale).
Progetto personale significa concepire un progetto di presa in carico capace di propiziare la cultura della relazione di aiuto, nella prospettiva di riconoscere e valorizzare i fattori che determinano condizioni favorenti il "divenire esistenziale". In sintesi, bisogna stabilire una relazione tra livelli essenziali delle prestazioni e livelli esistenziali dei contesti di vita, evitando di incorrere nei seguenti errori:
La formulazione del progetto di vita: non basta offrire soluzioni esterne o "organizzative" spesso slegate, statiche, cristallizzate, che inducono fatica e scarse risposte capaci di orientare il futuro della persona e della famiglia;
Le relazioni significative: spesso si è più attenti all'aspetto funzionale della collocazione degli operatori che non alla "significatività" della relazione che essi sono in grado di instaurare con la persona con disabilità;
I luoghi e gli spazi di vita: vengono attuati spesso "rapidi" cambiamenti, dovuti ad eventi amministrativi (valutazione stato di autosufficienza parziale - non autosufficienza totale, differenziate situazioni familiari), senza una reale attenzione al senso della vita personale;
La continuità storica del sé: spesso è minacciata dal rapido cambiamento di quelle situazioni esterne che aiutano la persona a mantenere, anche se debole, la propria immagine;
L'appartenenza e la vivibilità del contesto (anche riabilitativo): il senso di non appartenenza e le non idonee condizioni di vivibilità ambientali possono sminuire, a volte anche drammaticamente, il senso e il valore della propria esistenza.

Si tratta di dimensioni, "personali", spesso rimosse e anche censurate dalla cultura corrente, talvolta anche con l'alibi della cura e della riabilitazione.

3.5. Valutare anche la vita materiale della persona e della famiglia

Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: non stiamo parlando qui della questione del concorso alla spesa da parte della persona/famiglia. Vogliamo mettere in evidenza, come peraltro fa la L.328/2000 (art. 14 secondo comma:"... il progetto individuale comprende...- anche - le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare) la necessità di tenere conto di quanto la disabilità incide nella vita materiale della persona e della famiglia. Non essendo qui in una sede ove sia possibile approfondire il tema dei metodi utili a determinare la dimensione, l'intensità e la durata dei processi di impoverimento che contribuiscono all'incremento dei fenomeni di esclusione sociale a danno delle persone e delle famiglie, ci interessa qui evidenziare come sia in ogni caso necessario capire come, sino a che livello di profondità, la presenza della disabilità in famiglia produce impoverimento dal punto di vista materiale. In altre parole, tutto ciò vuol dire non dare per scontato e non dimenticarsi degli effetti della disabilità sulla economia familiare e sui suoi - legittimi - previsioni e aspirazioni.

3.6. Non solo coordinamento, ma azioni integrate

Promuovere l'inclusione, curare la comunità per curare le persone, pensare non solo in termini di servizi e prestazioni, ma complessivamente alle azioni utili a rimuovere le discriminazioni: tutto ciò significa che l'aumento di consapevolezza che la Convenzione ONU chiede a tutti i soggetti civici (istituzioni, cittadini, organizzazioni sociali) deve andare nella direzione di ricercare non solo - o non tanto - l'efficienza dell'agire (il coordinamento), ma l'efficacia delle azioni (l'integrazione). In altri termini, come delineato nelle Linee Guida dell'Ambito 2, occorre che la redazione di un progetto globale di presa in carico "abitui" l'Amministrazione Comunale a integrare tra loro le politiche. Se si parla di "abitare"occorre sviluppare una coscienza urbanistica che si deve coniugare con le risorse e le possibilità offerte dalle reti comunitarie di aiuto e sostegno alla domiciliarità, anche per persone con disabilità complesse. Se si parla di "lavoro" occorre che le competenze degli Assessorati al Commercio e alle Attività Produttive comprendano i problemi e le esigenze delle persone con disabilità all'interno dei loro programmi. Coordinare, insomma, è cosa ben diversa che pensare in modo inclusivo.

3.7. Accrescere l'empowerment

Empowerment = esprimere l'accrescimento del potere da parte della persona (o della comunità) nei confronti del proprio futuro, della propria crescita. Potrebbe essere accostato alla parola d'ordine che più di ogni altra rappresenta la crescita vissuta in questi anni dal movimento delle persone con disabilità:" niente su di noi senza di noi".
Questo passaggio è per noi cruciale: nella nostra concezione "accrescere l'empowerment" deve corrispondere ad un aumento vero del potere contrattuale della persona con disabilità e di chi la rappresenta. Senza questo passaggio concreto, misurabile, effettivo, ogni discorso sin qui fatto perde di sostanza e significato, mantenendo inalterata la distanza tra ciò che è DIRITTO e ciò che è CONCESSO.
In altri termini occorre che la Pubblica Amministrazione si ponga la domanda: in che modo il cittadino / familiare / amministratore di sostegno può esercitare l'azione di tutela dei propri diritti?. Nulla di nuovo, certo, perché di altro non si sta parlando se non di quanto già la normativa vigente in materia di tutela dei diritti del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione prevede ("DPCM 27.02.1994 - principi sull'erogazione dei servizi pubblici" e D.Lgs.267/2000 artt. 8; 10; 11; 12). Si tratta insomma di non trascurare il fatto che l'auto-tutela dei diritti delle persone con disabilità non è un fatto né scontato né semplice, e quindi occorre prevedere che potrebbero occorrere sostegni e aiuti da erogare alla persona / famiglia / amministratore di sostegno, anche nella consapevolezza che tali sostegni potrebbero tradursi in azioni contro la pubblica amministrazione.

3.8. Serve un luogo

In via generale, riteniamo che il luogo istituzionale naturalmente - oltre che giuridicamente - deputato a redigere, accogliere e monitorare l'andamento del progetto globale individuale sia il Comune di residenza della persona con disabilità. In relazione ad altri elementi (p.e. l'età) o prassi consolidate altri luoghi istituzionali potrebbero divenire il punto di riferimento primario della progettazione individuale.

3.9. Serve un codice condiviso

...per valutare la condizione della persona, al fine di predisporre il Progetto Globale di Presa in Carico. Si tratta anche qui di affermare la necessità di un codice (da intendersi come paradigma ermeneutico) condiviso tra i vari attori e soggetti dei processi che si svolgono attorno alla persona disabile, non attuato per omogeneizzazione gerarchica, ma attraverso un processo di elaborazione a partire dai codici riconosciuti dai diversi soggetti. Da questo punto di vista, l'entrata in campo, oltre all'ICF, di altri sistemi validati sul piano scientifico utili non solo alla definizione del livello di funzionamento, ma anche della individuazione dei sostegni, possono facilitare il compito degli operatori, dei familiari e della stessa Comunità. Facciamo riferimento allo strumento definito dall'AAIDD - American Association on Intellectual and Developmental Disabilities - disponibile in ambito italiano grazie al progetto L.383/2000 gestito da ANFFAS. Lo strumento è la SIS (Supports Intensity Scale - scala dell'intensità dei supporti).

3.10. Serve un referente

...... che si assuma la responsabilità del Progetto Globale di Presa in Carico, che rappresenti la dimensione del riferimento unitario, di fiducia della persona, affinché sia tutelato il principio dell'esigibilità dei diritti, la centralità della persona, la finalizzazione ultima dei progetti allo sviluppo integrato ed integrale della persona. Il referente del Progetto Globale di Presa in Carico deve essere messo nella condizione di potere:

--- garantire il coordinamento tra il Progetto Globale e i Progetti Specifici (il progetto relativo al servizio frequentato dalla persona, il progetto riabilitativo, il progetto di inclusione scolastica, il progetto di collocamento mirato, il progetto di assistenza personale, ecc.)
--- essere il riferimento informativo nei confronti della persona e della famiglia
--- intervenire nei confronti dei diversi soggetti/attori che hanno un ruolo nello svolgimento del Progetto Globale, al fine di correggere eventuali errori, capirne la natura, proporre soluzioni, segnalare alla persona i motivi delle disfunzioni.

Chi potrebbe assumere tale ruolo? Al di là della più immediata e "naturale" identificazione tra il ruolo di responsabile di progetto e operatore sociale del Comune di residenza, occorre dirsi che nell'ottica di tutela dei diritti umani della persona non occorre per forza pensare ad un ruolo professionale (o che necessiti di specifiche competenze professionali). Provocatoriamente, ma non troppo, perché non pensare ad altre persone/competenze? Un sacerdote, un volontario di un'Associazione del territorio che si occupa di tutela dei diritti dei cittadini e/o dei consumatori, un'Associazione di persone con disabilità, un operatore di un ente gestore non coinvolto nell'erogazione di servizi e prestazioni, (In realtà si potrebbe anche ipotizzare che a ricoprire tale ruolo possa essere anche un operatore di un ente gestore (unità d'offerta sociosanitaria) che ha in carico la persona con disabilità.) un cittadino selezionato tra soggetti che, opportunamente formati e valutati, possano costituire una sorta di "albo dei referenti" a cui potere attingere.

3.11. Serve un dossier unico

.... che soddisfi la dimensione di convergenza e la disponibilità delle informazioni, nel rispetto della tutela della privacy e della dignità della persona. Tale dossier nel concreto, attraverso diverse forme, dovrebbe raccogliere tutte le informazioni, gli atti, le anamnesi, le relazioni, le valutazioni di efficacia, le comunicazioni, le storie di vita e ogni altro elemento che costituisce la "memoria" del Progetto Globale e dei Progetti Specifici. È non solo un modo per razionalizzare il lavoro, ma per costituire fisicamente la "banca dati" del Progetto Globale, e per rendere evidente, anche da un punto di vista organizzativo e formale, l'obbligo per tutti gli attori/soggetti coinvolti di fare confluire in un unico luogo (istituzionale e funzionale) le informazioni e gli atti legati al proprio lavoro.

3.12. Serve un sistema di regole condiviso

Ammesso che tutto fin qui funzioni, occorre che dal momento in cui il motore parte serve un sistema di regole condiviso che regoli il traffico, la velocità e possa riparare gli inevitabili errori, inciampi, disguidi, incomprensioni. Soprattutto le regole servono per condurre in modo utile le azioni di verifica e di valutazione di esito del progetto globale di presa in carico. Le disponibilità individuali, la passione civica e professionale, la serietà di ciascuno non bastano. Occorre che le regole, per essere tali, siano non solo utili, ma una volta individuate condivise vanno formalizzate con atti istituzionalmente validi. Un accordo di programma riteniamo abbia senso se dalla sperimentazione si potrà passare ad una prassi da consolidare. A questo punto del percorso crediamo che un "semplice" protocollo che sigli l'intesa sulla conduzione della sperimentazione possa bastare.

Per sintetizzare:

DI CHE COSA SI PARLA COME FARE CHI LO PUÒ O LO DEVE FARE
-- Cos'è la disabilità
-- Cambiare modello
-- Imparare a riconoscere le discriminazioni e le carenze di pari opportunità
Crediamo che formazione, confronto e scambio di esperienze siano gli elementi che possono aiutare in questo percorso Tutti, chiaramente: Comune, Associazione, Ente gestore, ASL, ecc. Meglio se si agisce in modo coordinato e unitario, ottimizzando anche le risorse Individuale e personale non sono sinonimi Redigere la mappa delle discriminazioni
Valutare la vita materiale della persona e della famiglia Tramite questionario o colloquio con la famiglia Operatori del territorio
Non solo coordinamento, ma azioni integrate Es.: il servizio trasporto deve rimanere di competenza dell'ass.to ai servizi sociali o può passare alle competenze delle politiche territoriali?  
Accrescere l'empowerment È lecito e possibile coinvolgere la persona con disabilità e chi lo rappresenta nelle scelte e nelle azioni? In che modo posso incrementare il potere partecipativo? Ci sono esperienze in tal senso? Fino a che punto c'è consapevolezza rispetto al tema del consenso informato?  
Serve un luogo    
Serve un codice condiviso Un sistema di valutazione che definisce non solo i bisogni, ma il sistema dei sostegni necessari, aiuta non solo nell'attuazione, ma anche nel monitoraggio del progetto globale di presa in carico Lo strumento che proponiamo è la SIS che va utilizzata da personale qualificato
Serve un referente    
Serve un dossier unico L'informatica offre molte più possibilità rispetto al passato. Occorre quindi approfondire tali opportunità partendo da quello che già c'è ed è in uso tra i diversi attori che oggi ricoprono un ruolo attivo nel processo di presa in carico vigente, per poi procedere alla definizione di uno strumento che rappresenti tecnologicamente le aspettative e le esigenze di tali attori  

Documento realizzato dall'Area comunicazione e politiche sociali Anffas Onlus principalmente grazie al contributo di Marco Faini

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